Con la crisi per il Covid quarantamila imprese a rischio usura

Sono ormai circa 40mila le aziende in Italia a rischio usura, “un fenomeno che risulta in crescita e che è ancora più grave, in particolare, nel Mezzogiorno e nel comparto turistico-ricettivo” con la crisi provocata dalla pandemia che ha aumentato nettamente l’esposizione delle imprese ai fenomeni criminali . E’ quanto risulta da un’analisi dell’Ufficio Studi Confcommercio sulla percezione dell’usura tra le imprese del commercio e dei servizi

Secondo l’analisi di Confcommercio da aprile ad oggi le imprese del commercio al dettaglio, dell’abbigliamento, della ristorazione e quelle del comparto turistico (strutture ricettive e balneari) hanno dovuto fare i conti con la riduzione del volume d’affari (37,5%), la mancanza di liquidità e le difficoltà di accesso al credito (36,9%), la gestione delle procedure per adeguarsi alle norme sanitarie (13,5%) e le problematiche connesse agli adempimenti burocratici (12,1%).

Per quanto riguarda il credito nonostante l’intervento del Fondo di garanzia per le Pmi abbia garantito circa 924mila operazioni fino a 30mila euro per un finanziamento complessivo di oltre 18 miliardi di euro, è ancora elevata la quota di imprese (quasi 290.000 nel 2020) che non hanno ottenuto il credito richiesto. L’associazione afferma che la quota di imprese fortemente a rischio usura, o soggette a tentativi di acquisizione anomala dell’attività, secondo le esperienze dirette degli imprenditori, è pari al 13-14%: da qui quindi si arriva a 30-40mila imprese in pericolo.

“Un fenomeno che presenta accentuazioni particolarmente significative nel Mezzogiorno e presso le strutture ricettive dove le percentuali risultano doppie”. In questa situazione, il 30% degli imprenditori, pur riconoscendo di avere un sostegno dall’azione delle Forze dell’ordine (oltre che dalle associazioni imprenditoriali), dichiara tuttavia di sentirsi solo di fronte al pericolo di infiltrazioni della criminalità.