Passing, due donne e razzismo in bianco e nero

Più estetica che contenuto nonostante i temi forti affrontati, ovvero il razzismo in tutte le sue forme e sfumature nell’America degli anni Venti. Queste le principali critiche americane a PASSING, debutto alla regia di Rebecca Hall passato oggi alla Festa di Roma, già al Sundance e su Netflix da novembre.
Girato in uno splendido bianco e nero da Eduard Grau (A Single Man, Boy Erased), il film è l’adattamento di un romanzo di Nella Larsen del 1929 che racconta appunto la storia di due donne afroamericane, Irene Redfield (Tessa Thompson) e Clare Kendry (Ruth Negga), che per caratteristiche somatiche potrebbero “passare” per bianche.
Da qui una scelta opposta da parte di queste due donne durante il cosiddetto Rinascimento di Harlem: quella di Irene che si crea una famiglia normale a Manhattan sposando un uomo di colore, Brian (André Holland), che fa il medico e con il quale ha due figli e quella invece più radicale di Clare.
Quest’ultima infatti da sempre si spaccia per bianca e ha sposato un facoltoso marito (Alexander Skarsgård), davvero bianco, che non solo non sospetta nulla, ma odia i neri considerandoli poco più di scimmie.
Quando però Clare incontra Irene, qualcosa si spezza in lei.
Inizia a frequentare la sua famiglia riappropriandosi di quella cultura che ha rinnegato, ma verso cui prova una certa nostalgia.
Un’amicizia imbarazzante e allo stesso tempo rischiosa quella di Clare, mentre si sussuegono fatti di cronaca di violenza razziale ai danni di uomini di colore. A complicare il tutto la gelosia, venata di omosessualità, di Irene che crede che il marito si sia innamorato della bella e sensuale amica.
“Ovviamente la mia identità è di donna bianca e non ho nessuna esperienza di cosa si provi ad attraversare il mondo come una persona di colore, ma ho sicuramente esperienza di cosa significhi essere cresciuti da persone che vivono all’interno di una cultura razzista”, dice Rebecca Hall. E aggiunge: “E sono convinta che questo libro della Larsen sia riuscito a svelare qualcosa del mio rapporto con me stessa, con la mia identità e di come mi confronto con il mondo. Vale a dire come voglio essere e come davvero mi sento. Il racconto abbraccia poi anche sfumature e paradossi di cui mi sento una sorta di esempio ambulante. Ho insomma sentito fortemente la complicazione e le sfumature di questo libro, e ho amato il suo potenziale di poesia. Era inevitabile così che ne volessi fare un film da molto tempo”.